giovedì 4 aprile 2013

Francesco Casali - Intervista



INCONTRO CON L'AUTORE

con Francesco Casali



1) Il tuo romanzo affronta il dolore in tutte le sue forme, le conseguenze e il principio, le cause. Quale personaggio pensi che possa rappresentarti? C'è qualcosa di autobiografico?
E’ innegabile che nelle varie storie che racconto ci sia sicuramente anche qualcosa di me. D’altronde se le ho scelte è anche perché mi hanno fatto risuonare qualcosa di particolare e questo, più o meno velatamente, traspare nel testo. Sicuramente è un libro molto autobiografico, o forse meglio dire “personale”, in quanto svelo molte delle mie debolezze a partire da avvenimenti o persone esterne. Non credo ci sia un personaggio in particolare che mi rappresenti meglio di altri, ognuno ha sicuramente degli aspetti che mi hanno emozionato al punto da decidere di parlarne. Forse l’ultimo, Giovanni, incarna meglio la mia concezione della vita. E dell’amore.

2) Si possono guarire i vari disturbi di cui parli spesso, oppure le cure sono solo dei metodi per alleviare in parte le pene dei pazienti, stordendoli?
Non si può generalizzare in questo campo. Alcune patologie possono solo essere contenute farmacologicamente, altre invece, laddove sia presente un buon progetto terapeutico, possono essere gestite e superate. Nel libro parlo sia delle patologie psichiatriche ma soprattutto del dolore in generale, che tocca ognuno di noi. I farmaci in entrambi i casi sicuramente aiutano ma non ho mai visto nessuno guarire da una patologia o uscire da una crisi con il solo aiuto farmacologico. Dal mio punto di vista alla base di una relazione d’aiuto, di qualsiasi natura sia, c’è la qualità del rapporto e la capacità di sentire e accettare il dolore dell’altro. Ovviamente, nei casi più gravi, l’empatia da sola non è sufficiente, ma rispetto al dolore psicologico di cui parlo credo fortemente che nessun farmaco possa sostituire la relazione umana.

3) Mi ha toccato profondamente la storia della bambina e il fatto che tu abbia raccontato la vicenda in prima persona. Mi addolora porti questa domanda, ma tu sei libero di rispondere o meno. E’ autobiografica questa storia o è frutto della tua immaginazione?
E’ il capitolo più intimo del libro, forse il più importante per me, e al tempo stesso quello di cui faccio più fatica a parlare. Mi sento solo di dire che a volte alcuni progetti falliscono ingiustamente e ognuno si attrezza come può per sopportare certi dolori.

4) Pensi che la compagnia delle persone, il sostegno, possano dare una svolta alla vita di chi soffre di solitudine e si trascura? Come è accaduto con Angelo, malgrado il finale, è possibile porre rimedio?
La storia di Angelo è emblematica nella sua sincerità: quando si è lasciati soli non tutti hanno la forza di reagire. Non credo che “compagnia” e “sostegno” possano da soli guarire sempre le persone, di certo possono essere un valido supporto per chi è in una particolare fase di difficoltà. E’ anche vero però che spesso si cercano le persone per paura di stare da soli, ma si sta male ugualmente. Questo perché, a mio avviso, è la qualità della relazione che si instaura con chi soffre ad essere più o meno terapeutica, non il quantitativo di persone di cui ci si circonda. So per certo che la solitudine e la malinconia vengono difficilmente percepite dalle persone, perché ognuno vive molto soggettivamente questi aspetti, ma soprattutto perché fanno paura.


5) Adesso svelaci la verità di un noto modo di dire: si dice che chi si occupi di psicologia, perda la ragione. Cosa ne pensi?
Penso sia una frase un po’ banale, come tutte le frasi che generalizzano in toto qualcosa. Sicuramente chi sceglie una professione delicata come può essere lo psicologo, l’educatore o il medico, ma anche l’insegnante o il sacerdote, è più attratto dal dolore e dall’intimità della relazione. Le professioni che si basano sulla relazione se da un alto sono affascinanti, dall’altro richiedono una buona capacità di autoanalisi per non lasciarsi invadere da quello che l’altro porta all’interno della relazione. La vicinanza con persone in difficoltà mette sicuramente alla prova la salute mentale di chi lavora in un campo così delicato, ma forse anch’essa è una delle tante sfide di queste particolari professioni. Personalmente credo che una buona capacità di autoanalisi, riuscire a barcamenarsi tra empatia e distacco, delle buone amicizie e molta autoironia siano le armi migliori per non “perdere la ragione”.

6) Cosa ti ha portato alla decisione di "svelare tutto"?
Non ho la pretesa di svelare niente e non possiedo alcuna “verità”. Semplicemente quando ho scritto il libro ero, e lo sono tuttora, in un momento della mia vita in cui sentivo forte il bisogno di tirare fuori tutto, senza appunto “niente da nascondere”. Il titolo è la prima cosa che mi è venuta in mente e rappresenta l’essenza dell’intero lavoro. Credo di non sopportare più le persone false e opportuniste, quelle “di facciata”, e ho voluto parlare apertamente anche di questo, mettendo contemporaneamente anche a nudo le mie debolezze e i pensieri più intimi, sia come educatore che come uomo. Come detto è un libro molto personale in cui però molti si sono poi ritrovati, se non in tutto almeno su diversi temi, dal dolore mentale, alla sofferenza, fino ai tradimenti e la morte. Qualcuno si è sentito troppo toccato dentro e non è riuscito a finirlo, altri l’hanno apprezzato moltissimo, qualcuno ha pianto, altri si sono decisamente arrabbiati. Quello che più è importante è che a me è sicuramente servito parlare di quello che avevo dentro.


Intervista a cura
di Roberta Mura

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