INCONTRO CON L'AUTORE
con Francesco Casali
1) Il tuo romanzo affronta il dolore in tutte le sue forme, le
conseguenze e il principio, le cause. Quale personaggio pensi che possa
rappresentarti? C'è qualcosa di autobiografico?
E’ innegabile che nelle varie
storie che racconto ci sia sicuramente anche qualcosa di me. D’altronde se le
ho scelte è anche perché mi hanno fatto risuonare qualcosa di particolare e
questo, più o meno velatamente, traspare nel testo. Sicuramente è un libro
molto autobiografico, o forse meglio dire “personale”, in quanto svelo molte
delle mie debolezze a partire da avvenimenti o persone esterne. Non credo ci
sia un personaggio in particolare che mi rappresenti meglio di altri, ognuno ha
sicuramente degli aspetti che mi hanno emozionato al punto da decidere di
parlarne. Forse l’ultimo, Giovanni, incarna meglio la mia concezione della
vita. E dell’amore.
2) Si possono guarire i vari disturbi di cui parli spesso, oppure le
cure sono solo dei metodi per alleviare in parte le pene dei pazienti,
stordendoli?
Non si può generalizzare in
questo campo. Alcune patologie possono solo essere contenute
farmacologicamente, altre invece, laddove sia presente un buon progetto
terapeutico, possono essere gestite e superate. Nel libro parlo sia delle
patologie psichiatriche ma soprattutto del dolore in generale, che tocca ognuno
di noi. I farmaci in entrambi i casi sicuramente aiutano ma non ho mai visto
nessuno guarire da una patologia o uscire da una crisi con il solo aiuto
farmacologico. Dal mio punto di vista alla base di una relazione d’aiuto, di
qualsiasi natura sia, c’è la qualità del rapporto e la capacità di sentire e
accettare il dolore dell’altro. Ovviamente, nei casi più gravi, l’empatia da
sola non è sufficiente, ma rispetto al dolore psicologico di cui parlo credo
fortemente che nessun farmaco possa sostituire la relazione umana.
3) Mi ha toccato profondamente la
storia della bambina e il fatto che tu abbia raccontato la vicenda in prima
persona. Mi addolora porti questa domanda, ma tu sei libero di rispondere o
meno. E’ autobiografica questa storia o è frutto della tua immaginazione?
E’ il capitolo più intimo del
libro, forse il più importante per me, e al tempo stesso quello di cui faccio
più fatica a parlare. Mi sento solo di dire che a volte alcuni progetti
falliscono ingiustamente e ognuno si attrezza come può per sopportare certi
dolori.
4) Pensi che la compagnia delle
persone, il sostegno, possano dare una svolta alla vita di chi soffre di
solitudine e si trascura? Come è accaduto con Angelo, malgrado il finale, è
possibile porre rimedio?
La storia di Angelo è emblematica
nella sua sincerità: quando si è lasciati soli non tutti hanno la forza di
reagire. Non credo che “compagnia” e “sostegno” possano da soli guarire sempre le
persone, di certo possono essere un valido supporto per chi è in una
particolare fase di difficoltà. E’ anche vero però che spesso si cercano le
persone per paura di stare da soli, ma si sta male ugualmente. Questo perché, a
mio avviso, è la qualità della relazione che si instaura con chi soffre ad
essere più o meno terapeutica, non il quantitativo di persone di cui ci si
circonda. So per certo che la solitudine e la malinconia vengono difficilmente percepite
dalle persone, perché ognuno vive molto soggettivamente questi aspetti, ma
soprattutto perché fanno paura.
5) Adesso svelaci la verità di un noto modo di dire: si dice che chi si
occupi di psicologia, perda la ragione. Cosa ne pensi?
Penso sia una frase un po’
banale, come tutte le frasi che generalizzano in toto qualcosa. Sicuramente chi
sceglie una professione delicata come può essere lo psicologo, l’educatore o il
medico, ma anche l’insegnante o il sacerdote, è più attratto dal dolore e
dall’intimità della relazione. Le professioni che si basano sulla relazione se
da un alto sono affascinanti, dall’altro richiedono una buona capacità di
autoanalisi per non lasciarsi invadere da quello che l’altro porta all’interno
della relazione. La vicinanza con persone in difficoltà mette sicuramente alla prova
la salute mentale di chi lavora in un campo così delicato, ma forse anch’essa è
una delle tante sfide di queste particolari professioni. Personalmente credo
che una buona capacità di autoanalisi, riuscire a barcamenarsi tra empatia e
distacco, delle buone amicizie e molta autoironia siano le armi migliori per
non “perdere la ragione”.
6) Cosa ti ha portato alla decisione di "svelare tutto"?
Non ho la pretesa di svelare
niente e non possiedo alcuna “verità”. Semplicemente quando ho scritto il libro
ero, e lo sono tuttora, in un momento della mia vita in cui sentivo forte il
bisogno di tirare fuori tutto, senza appunto “niente da nascondere”. Il titolo
è la prima cosa che mi è venuta in mente e rappresenta l’essenza dell’intero
lavoro. Credo di non sopportare più le persone false e opportuniste, quelle “di
facciata”, e ho voluto parlare apertamente anche di questo, mettendo
contemporaneamente anche a nudo le mie debolezze e i pensieri più intimi, sia
come educatore che come uomo. Come detto è un libro molto personale in cui però
molti si sono poi ritrovati, se non in tutto almeno su diversi temi, dal dolore
mentale, alla sofferenza, fino ai tradimenti e la morte. Qualcuno si è sentito
troppo toccato dentro e non è riuscito a finirlo, altri l’hanno apprezzato
moltissimo, qualcuno ha pianto, altri si sono decisamente arrabbiati. Quello
che più è importante è che a me è sicuramente servito parlare di quello che
avevo dentro.
Intervista a cura
di Roberta Mura
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